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Gli incidenti domestici sono all’ordine del giorno: il più delle volte si tratta di piccole escoriazioni o di lievi ustioni, ma in alcuni casi, pur non lasciando segni visibili, fanno un male cane e rendono il punto colpito ipersensibile e a lungo. Basta ripensare alle dita rimaste schiacciate da una porta o alla fitta dell’alluce che ha colpito uno spigolo di un mobile per stringere i denti al ricordo di quell’esperienza. Sicuramente, nei giorni successivi alla botta i neuroni del corno dorsale del midollo spinale (la “stazione” intermedia dove transita la trasmissione del dolore prima di approdare al cervello) saranno ipereccitabili, determinando una rapida conduzione delle sensazioni dal punto dove abbiamo subito la contusione al sistema nervoso centrale. Di conseguenza, la “parte lesa” diventerà più sensibile, e anche un semplice sfioramento sarà avvertito come un colpo di spranga. É come se la spina dorsale conservasse il ricordo per il dolore. In realtà, non si tratta solo di una metafora. Due equipe di scienziati hanno, infatti, scoperto che una particolare molecola stabilizza la memoria del dolore nel cervello e sensibilizza i neuroni del midollo spinale dopo un trauma fisico. Il nome di questo “fissatore” è PKMzeta; si tratta di una proteina ed è un vero e proprio “additivo” della memoria. Quando impariamo cose nuove, assistiamo ad addensamento di PKMzeta nelle “intercapedini” tra i neuroni (le sinapsi), rafforzando le connessioni tra le cellule cerebrali che vanno a creare vero e propri circuiti. Proprio dalla presenza di questa sostanza dipende la stabilità e l’integrità dei ricordi: se questo collante si dissolve, la memoria si fa labile. Un’equipe di neuroscienziati composta da Peter Serrano, Yudong Yao and Todd Charlton Sacktor, sulla base di questi presupposti, ha somministrato a dei topi un “solvente”, chiamato ZIP, che neutralizza il PKMzeta. Hanno così appurato che anche ricordi solidi, consolidati nel tempo erano scomparsi dopo questo “trattamento” … e in modo irreversibile. Successivamente, lo stesso Sacktor, assieme ad altri colleghi, ha dimostrato che è vero anche il contrario: con una ”dieta” ricca di PKMzeta, le sinapsi si rafforzano, dando nuova vita a ricordi sbiaditi. Tornando al tema con cui abbiamo esordito, di recente Marina Asiedu e Dipti Tillu dell’università dell’Arizona College of Medicine hanno dimostrato che il PKMzeta fa più che stabilizzare i ricordi nel cervello: è anche la causa del persistere del dolore dopo un infortunio. Marina Asiedu e la collega erano a conoscenza del fatto che dopo un’esperienza traumatica, i neuroni che trasmettono segnali di dolore sviluppano connessioni più forti, specialmente quelli in una parte della colonna vertebrale nota, come abbiamo già detto come corno dorsale. Le due ricercatrici hanno supposto che il PKMzeta potesse determinare nel midollo spinale lo stesso processo che era stato rilevato nel cervello. Per verificare la loro ipotesi, le studiose hanno iniettato in una zampa di dei ratti una sostanza chimica chiamata IL-6, che ha provocato un leggero gonfiore e reso l’arto più sensibile per circa tre giorni (questo per simulare la sensazione di quando un dito viene schiacciato da una portiera). Anche dopo che il gonfiore scompariva, la zampa restava sensibile: la prova era la reazione alla somministrazione di Prostaglandina E2, un farmaco che provoca vasodilazione, ma non dolore: in questo i roditori mostravano, invece, segni di sofferenza. L’effetto veniva annullato se le studiose iniettavano la ZIP, anche in abbinamento con l’IL-6.

Fonte: https://www.linguaggiodelcorpo.it

 


 

Categoria: Salute
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